lunedì 15 ottobre 2012

A volte

a volte questo letto 
sembra un nido notturno
di rami e paglia e piume
tra foglie verdi immerse nel buio
a volte mi innamoro quando scopri la nuca
alzando i capelli
a volte nessun cielo è abbastanza grande
a volte piove memoria
e mi concentro per restare vicino
le nevrosi fanno molto rumore
a volte sediamo lungo il fiume veloce
che porta foglie e barche e tempo
tu mangi un panino e chiedi ne vuoi un po'
sì lo voglio
mi va un po' di te
di quello che mangi e vedi e pensi
mi piace quello che lasci in giro
se ti dimentichi una forcina 
o una calza o un biglietto
o un po' di libertà o un profumo
o una sigaretta fumata a metà
o un canto che ritrovo
le metto dentro un cassetto
in una scatola
con le piume e i rami e la paglia
proprio qui
in mezzo alla notte

martedì 9 ottobre 2012

I Sette Samurai e la Difesa Gruenfeld

Ieri rivedevo per l'ennesima volta i Sette Samurai di Kurosawa. E ogni volta che lo rivedo, imparo qualcosa. A questo giro l'attenzione mi è caduta su una frase di Shimada Kanbei, dall'apparenza molto semplice: "Difendere è più difficile che attaccare". Sembra una cosa da nulla, ma è un insegnamento strategico profondo, per la vita di tutti i giorni. Dire quello che non va, attaccare qualcuno, calunniare, evidenziare quello che manca, quello che è sbagliato, quello che è storto, è facile, facilissimo. Il mondo è pieno di cose sbagliate, manca sempre qualcosa, e anche quando tutto va bene o quasi, si può inventare, stigmatizzare, enfatizzare, strumentalizzare. In ogni lavoro, le cose che si prevedono, per quanto numerose, sono un insieme finito; quelle che non si prevedono al contrario sono un insieme infinito. E' facile criticare, difficile è fare, o come recita un adagio genovese "chi l'è in tera predica, chi l'è in mâ navega".

Ci sono mille modi, tutti facili, tutti a portata di mano, per attaccare, e non occorre sapere gran che della materia per lanciare un attacco. Muore un paziente, è colpa del medico. Facile, veloce, non devi sapere di medicina per capire che quello è morto, che c'è un problema, che qualcosa non va. Invece, difendersi è difficile, complicato, bisogna argomentare con competenza e cognizione di causa, con calma, senza farsi prendere dal panico, senza tentennare confermando così la propria debolezza. Chi attacca lo fa quando vuole, dove vuole, quando è pronto e si sente pronto. Chi si difende deve stare sempre all'erta, come il guardiano sulla torre biblica. Giorno e notte, in attesa. Non è un bel mestiere, difendersi. 

"La calunnia è venticello", basta un niente a sollevarlo ed è quasi impossibile da fermare, dice Basilio. "Chi mena per primo, mena du vorte", dice la street wisdom della borgata. Non c'è quindi difesa? Chi è giusto ed è nel giusto deve sempre temere l'offensore ignorante e prepararsi ad una lunga e difficile difesa a fronte di un singolo insulto? Bisogna per forza affrontare un duello e finire come il Batavo maledetto in Antenòr di Guccini? Beh, non è detto. Le arti marziali insegnano ad usare la forza dell'avversario contro di lui, l'attacco è facile ma sbilancia, costringe a prendere posizioni estreme e per questo precarie. 

La Difesa Gruenfeld è la metafora scacchistica di tutto questo: si lascia l'avversario apparentemente libero di occupare il centro del gioco, e poi lo si attacca ai lati usando i suoi stessi pezzi a proprio favore. Nel Salmo di Davide è scritto "gli empi sfoderano la spada e tendono l’arco per colpire di nascosto il misero e l'indigente [...] per uccidere chi cammina per la retta via [...] ma la loro spada raggiungerà i loro stesso cuore e i loro archi si spezzeranno". 

E' una buona profezia? Dipende. Attaccare è facile ma rischioso, chi attacca si deve esporre. Il contrattacco può essere letale, il colpo d'incontro è quello che stende il miglior incassatore. E attaccare stanca, spesso sfinisce. Chi attacca ha bisogno di una vittoria breve, veloce, un Blitzkrieg, non una Stalingrado o una Londra. Chi attacca non è forte, è violento, è affamato, a volte spaventato. E il vero potere è di chi resiste.

domenica 7 ottobre 2012

L'amore di notte

Lei dorme. Tutto è ombra. Suoni isolati si spaventano a vicenda. Ci sono stati spari, abbracci e tanta nostalgia. La notte respira lentamente. Io sono nella stanza blu e mi preparo al viaggio. Il latte è nella tazza. Il cielo è il ventre di una nave o di un pesce. Le sirene russano sulla battigia. Ancora un respiro, ancora aria tiepida, ancora ricordi. L'amore di notte è un posto umido dove crescono piante folli e fiori incapaci di aprirsi.

mercoledì 25 luglio 2012

Sasso

Siamo passati vicino a quel sasso. Ho fatto in modo che ci passassimo. Da sopra quelle rocce ho pensato a te molte volte, quando non ti conoscevo. Ero un ragazzo pieno di nostalgia.



mercoledì 27 giugno 2012

L'orizzonte degli amanti

La cosa notevole dell’amore è l’incrocio di due probabilità così radicalmente opposte. Da un lato, il fatto che io ti ami è una cosa talmente probabile da sembrarmi inevitabile. Dall’altra, il fatto che tu ami me è talmente improbabile da sembrarmi impossibile. L'amore vive soltanto nel sottile terreno di confine tra impossibile e inevitabile, come un miracolo necessario.

sabato 28 aprile 2012

Casamia

Casa mia non sono i muri
Casa mia non sono i mobili ikea
Casa mia non sono i fiori le piante
Casa mia non è il tetto o le porte
Casa mia non è il pavimento
Casa mia è dove sogno distratto
Casa mia sei tu

sabato 21 aprile 2012

Bio

Paolo Storvandre (Savona, 1972) è uno scrittore italiano. Dopo la Laurea in Scienze Coloniali ha lavorato in Oltrepò, in zona Maciachini e su Venere. Tornato sulla Terra ha conseguito una seconda laurea in Lingua e Letteratura Imperiese, con una tesi sul Pesto di Prà. Ha quindi esercitato per un certo tempo l’attività di saltimbanco presso il Conad di Via Scurati, ma solo il venerdì pomeriggio. Nel condominio “La Cittadella” conosce Baluzio Romelli, Gianni Gianni, Utopino Radaelli e Anco Ossi, un reduce di guerra che ha perso le iniziali nella battaglia d’Algeri. Con questo manipolo di coraggiosi inizia a pubblicare scritti fortemente influenzati dagli ingredienti dei tortellini Rana e dagli sproloqui di un vecchio pazzo alla fermata del 15. E’ fondatore, redattore, amministratore e usciere della rivista La Ribollita, edita da uno suo zio ricco.

domenica 18 marzo 2012

La bella

quando c’erano le agavi
e nessuna ferrovia
ero un ragazzo giovane
senza alcuna nostalgia

quando c’erano le agavi
e nessuna autostrada
ero un ragazzo giovane
nella mia contrada

quando c’erano le agavi
e siepi di rosmarino
ero un ragazzo giovane
poco più di un bambino

e come tutti i ragazzi
guardavo sempre il cielo
passavo intere giornate
a sognare sotto al melo

poi le agavi sono fiorite
e lo fanno una volta sola
sono arrivati i treni
è arrivata la scuola

e insieme all’autostrada
sono arrivati i turisti
i primi giorni allegri
e poi sempre più tristi

mi innamoravo sempre
nelle stagioni sbagliate
e le carte che avevo
le ho quasi tutte giocate

anche se erano nere
le ho giocate lo stesso
ne ho tenuta solo una
e me la gioco
adesso

lunedì 12 marzo 2012

traparentesi

ho sognato un usciere
un uomo grigio e azzurro
su pareti verdi
controllava che non passassero le mosche
dal corridoio
ma non tutte le mosche
solo le mosche tra parentesi
le (mosche) insomma
ma non solo le (mosche)
anche le (farfalle)
e via dicendo
una cosa tra parentesi
è come un insetto con le ali chiuse
è facile prenderla
e metterla in un cassetto
prendi (ti amo) ad esempio
può stare lì per sempre
a non voler dire niente
finché non esce dalle parentesi
come da una crisalide
e inizia a voler dire tutto

l’usciere – dicevo – prendeva con le dita
le (mosche), le (farfalle) e i (ti amo)
e li metteva in una busta
una grande, di quelle gialle
giorno dopo giorno
alla luce eterna dei neon
e annotava tutto su un quaderno a righe
oggi prese 54 (cinquantaquattro) mosche
e 12 (dodici) farfalle
1 (una) falena
e 2 (due) ti amo
metteva i numeri tra parentesi
sempre chiuse
che i numeri restassero dentro
prova a mettere una cosa tra parentesi aperte
diceva al telefono ai suoi colleghi
tu prova e vedrai
una volta ho messo un dodici tra parentesi aperte
e al mio ritorno erano quasi ventiquattro
e non scrivere mai )mosca( oppure )ti amo(
o scivolerà nel corridoio alle tue spalle
veloce e ronzante come una distrazione
è così che Anselmo ha perso il posto
te lo ricordi Anselmo
stava sempre a leggere poesie
non ci sono molte parentesi
nelle poesie
per questo non mi fido
e ho messo le parentesi al (cuore)

domenica 26 febbraio 2012

se tu non c’eri

se tu non c’eri
ero triste
facevo come quelli dei film
che bevono bevono bevono
per riempire il cuore
e non muoiono mai
se tu non c’eri
non sapevo dove mettere le parole
e mi cadevano per strada
o a chi dare la mano
e quando respirare

se tu non c’eri
ero come
un ragno
senza tela
un verme
senza mela
la vela
senza il vento
il novantanove virgola nove
che non sarà mai cento
un X senza una Y
dove X è una parte grande o piccola dell’amore
e Y è il tutto

se tu non c’eri
mi incazzavo coi muri
baciavo i citofoni
facevo l’amore con gli occhi chiusi
se tu non c’eri
mettevo in tavola un solo piatto
un solo bicchiere
una sola forchetta

se tu non c’eri
facevo un’ombra sola
camminando al tramonto
un’ombra sola come un palo
un albero
quelle cose che stanno in piedi
dritte e singole
come i numeri uno
che sono sempre soli
e a volte hanno paura
che qualcuno gli sottragga la loro unità
e rimanga lo zero verde
come un prato vuoto
senza nemmeno un fiore

venerdì 24 febbraio 2012

Cimitero Monumentale, 24.02.2012

Oggi sono andato a trovare dei morti. Morti qualsiasi, al cimitero. Anche se, a guardarli uno per uno, i morti non sono proprio qualsiasi. Sono simpatici, sono unici, alcuni si somigliano, altri no. Ci sono morti calciatori, morti generali, morti dottori, morti fisici, morti contesse, morti bambini e morti e basta. Fa freddo nelle cripte, un freddo strano, che ti blocca, un freddo immobile, un freddo invisibile e assoluto. Un freddo che ti fa sentire morto. Poi arrivi ad una finestra, e l'aria calda ti ridà vita. Le foto sono sbiadite, ossidate. Le lapidi si sgretolano sotto le mani. C'è un odore di freddo e intonaco bagnato. Sono solo, ma con tutti quei visi che ti guardano dagli occhielli, tutte quelle persone, tutte con lo stesso sguardo, la stessa espressione che sembra dire "Scusa se sono morto", non mi sento solo. Fanno tenerezza. Guardano da lontano, eppure sono così vicini. Dietro una lastra piena di polvere, dietro una ragnatela, dietro la memoria che scompare, dietro un nome, dietro una data.