lunedì 12 maggio 2014

Un uomo

Ho sette anni, sto salendo le scale di casa con una cartella di cuoio sulle spalle. Un uomo mi viene incontro, raccoglie la mia cartella e saliamo insieme le scale. Mi chiede com’è andata a scuola. E’ un uomo grande, e severo, e io mi affretto a raccontare del compito in classe, che è andato bene, che ho preso un bel voto. Lui sorride, un raro sorriso, e mi dice che è una bella cosa, ma di ricordarmi sempre che lui mi vorrà bene sempre e in ogni caso, coi bei voti e con i brutti voti, perché verranno anche quelli, verranno i fallimenti e gli insuccessi. Parole semplici, ma non so spiegare quanto abbiano fatto bene al mio piccolo cuore di bambino ansioso ed insicuro. Oggi io sono sempre ansioso e sono sempre insicuro, ma so che ci sono persone che mi vogliono bene comunque, che non è tutto in gioco su quel tavolo in cui pretendi ogni giorno di essere quel che non sei e mai sarai. Oggi quell’uomo è “stabile” nel letto di una clinica, alla fine di una vita lunga e avventurosa, e io davvero non so cosa sperare. Forse il mio unico augurio, nonno, è che qualcuno ti venga incontro lungo le scale, ti prenda la cartella pesante dalle spalle, e ti accompagni dicendo che ti vuole bene e te ne vorrà sempre, senza giudicarti per i tuoi voti o per i tuoi successi, ma per l’amore che hai saputo dare senza chiedere nulla in cambio.

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