domenica 1 dicembre 2013

Il muro rosa

Da bambino il mio letto era appoggiato ad un muro rosa. Era un bel muro, di un colore allegro. Era l’epoca in cui le persone coloravano i muri di casa con i colori che piacevano loro, e non solo con il bianco. Il muro rosa era la direzione in cui mi volgevo nei momenti tristi. Era la superficie che avrei voluto attraversare per raggiungere quello che mi mancava. Quel muro è stato madre per tante lacrime solitarie, fratello, confessore, giudice, avvocato. Non si è mai lasciato oltrepassare, non mi ha mai fatto arrivare ai miei sogni, non ha mai fatto passare i miei incubi. Mi ha protetto e mi ha isolato. Quando mi giravo e vedevo quel muro rosa, irregolare, complicato, lo studiavo anche per ore. E lui studiava me. A volte appoggiavo la mano sulla sua superficie fredda, e immaginavo che un giorno sarei scomparso in quelle crepe, in quel mondo di irregolarità e confusione apparente. Ma non è mai successo. Un giorno mi sono alzato da quel letto, sono andato via, lontano da quella stanza, da quella casa, da quel paese. Tutto è svanito, case, persone, tempi, anche io non sono più lo stesso. Ma il muro rosa è rimasto lì, dentro di me, sempre uguale, sempre indifferente, sempre partecipe, sempre complicato, sempre freddo, sempre pronto a vedermi voltare verso di lui con gli occhi pieni di lacrime.

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