Storto, sfasciato L’uomo che ha sbagliato Se ne va solo Su marciapiedi sbagliati Lungo strade sbagliate Guarda Ad ogni passo sbagliato Attraverso i vetri Il suo riflesso Giusto E riprende a camminare Sbieco Scaleno Disallineato Vede camerieri sbagliati Portare ordinazioni sbagliate A clienti sbagliati Ad ogni passo conta Un fallimento scontato Ma sbaglia a contare E ricomincia Sente risate sbagliate Di ragazze sbagliate Coi denti sbagliati Poi soffre Per le cose sbagliate Per i discorsi perduti Per le note stonate Gli amori non amati I pezzi di sbaglio Gli tagliano il cuore In tanti pezzi Sbagliati Una musica di una orchestra Sale da una via là vicino Guarda i semafori rossi I sensi vietati Vorrebbe raddrizzare le stelle Metterle in file ordinate L’uomo sbagliato si piega Aspira un po’ di fumo sbagliato Beve un altro sorso Di un cocktail sbagliato Passano persone Passano cose La musica finisce Davanti a una macchina In sosta vietata L’uomo sbagliato pensa Il mondo non dovrebbe girare così I bambini giocano Ai giochi che ha scordato Secondo regole inventate Che lui non sa più inventare Giusto Sbagliato Vicino Lontano Fuori Dentro Mi interessa Non mi interessa Star male Guarda un presepe in un portone Manca il bue Ci hanno messo un cane Il cane guarda l’uomo E gli dice Credimi è pur sempre in lavoro L’uomo guarda il cane e gli esce Il solito sorriso forzato Aspira ancora del fumo Ha freddo alla mano sinistra Passano due distinti signori Vestiti di nero Parlano di maleducazione Di intelligenza Di cose da distinti signori Con i cappotti neri Tempo di foglie gialle Tempo di parcheggiatori annoiati Tempo di far finta di niente Di attraversare la strada Escono gli spettatori Da un piccolo teatro Lo spettacolo è stato banale Lo spettacolo è sempre banale L’uomo spera di sbagliarsi Mentre sale le scale L’uomo spera ancora di sbagliarsi Mentre scrive in perfetto italiano Non volevo far male Se ho sbagliato Scusate
Da bambino il mio letto era appoggiato ad un muro rosa. Era un bel muro, di un colore allegro. Era l’epoca in cui le persone coloravano i muri di casa con i colori che piacevano loro, e non solo con il bianco. Il muro rosa era la direzione in cui mi volgevo nei momenti tristi. Era la superficie che avrei voluto attraversare per raggiungere quello che mi mancava. Quel muro è stato madre per tante lacrime solitarie, fratello, confessore, giudice, avvocato. Non si è mai lasciato oltrepassare, non mi ha mai fatto arrivare ai miei sogni, non ha mai fatto passare i miei incubi. Mi ha protetto e mi ha isolato. Quando mi giravo e vedevo quel muro rosa, irregolare, complicato, lo studiavo anche per ore. E lui studiava me. A volte appoggiavo la mano sulla sua superficie fredda, e immaginavo che un giorno sarei scomparso in quelle crepe, in quel mondo di irregolarità e confusione apparente. Ma non è mai successo. Un giorno mi sono alzato da quel letto, sono andato via, lontano da quella stanza, da quella casa, da quel paese. Tutto è svanito, case, persone, tempi, anche io non sono più lo stesso. Ma il muro rosa è rimasto lì, dentro di me, sempre uguale, sempre indifferente, sempre partecipe, sempre complicato, sempre freddo, sempre pronto a vedermi voltare verso di lui con gli occhi pieni di lacrime.